domenica 4 novembre 2007

San Domenico Patrono della Nuova Evangelizzazione

4 Novembre 2007

S. Carlo Borromeo



Desidero aprire questo blog con una proposta che sta molto a cuore alla mia comunità (Monache Domenicane di Castelbolognese) e ad altre (Monasteri e Suore dell'Ordine Domenicano) che ci stanno sostenendo ed incoraggiando : vorremmo ottenere dal Santo Padre Benedetto XVI la designazione di Domenico di Guzman a Patrono della Nuova Evangelizzazione.
Negli evangelizzatori del III° millennio, infatti, ci sembra rivivere quella Santa Predicazione che nel XIII secolo era la nuova forma di apostolato, verbo et exemplo, voluta da Domenico e da Diego di Osma.
Penso sia del tutto superfluo spiegare le profonde ragioni sottese alla nostra proposta; tuttavia è chiaro che, nella nostra richiesta, dobbiamo essere motivate dal riconoscimento e dall’individuazione dei requisiti propri della personalità di Domenico, atti a suffragare tale petizione che non deve apparire come frutto di un rigurgito sentimentalista e … partigiano; qui di seguito, pertanto, indichiamo alcuni punti che ci sembrano fondamentali.



S. DOMENICO DI GUZMAN PATRONO DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE.
PERCHE’?

“…ci visitò Colui che sorge dall’alto (Lc. 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce a rappresentare lo splendore divino di cui siamo messaggeri.”
Dai “Discorsi”di S. Sofronio, Vescovo

Il problema della predicazione
Sappiamo bene che a monte della scelta fatta da Domenico della vita apostolica, sta il problema della predicazione, missione fondamentale del vescovo sin dalle origini; ad un certo punto, per una serie di motivi storici, si dovette affidare la predicazione a predicatori ausiliari. Questo decentramento delle prerogative episcopali portò alla formazione di grandi personalità di predicatori, non pochi dei quali, tuttavia, sempre per motivi storici ben noti, finirono, esercitando la predicazione fuori di ogni controllo, col diventare dei dissidenti e degli autentici eterodossi. La Chiesa mentre da un lato incitava i vescovi ad essere più zelanti, si era andata sempre più affidando a personalità fuori dal comune, provenienti dal clero secolare o da quello regolare (Pietro l’Eremita, Norberto di Xanten, fondatore dei premonstratensi, Bernardo di Chiaravalle, per citarne alcuni). Tutti questi predicatori operavano individualmente.
Cediamo ora la parola a M. Roquebert autore di una biografia di S. Domenico uscita nel 2003 e in edizione italiana nel 2005 . “Vorrei semplicemente raccontare San Domenico […] seguire di anno in anno il destino di un uomo dall’intelligenza folgorante e dalla volontà prodigiosa, alle prese con la più grave crisi spirituale che la Chiesa abbia conosciuto prima della Riforma. Un uomo cui […] la Chiesa deve la creazione di un modello che prima di lui non esisteva, quello del religioso che unisce l’ideale della vita evangelica, l’eloquenza del predicatore e la più alta scienza filosofica e teologica”. Tommaso è certo colui che più di ogni altro ha incarnato questo modello, ma Domenico lo ha creato : modello ancora “terribilmente” attuale e valido.
Di Domenico M. H. Vicarie o.p. dirà che “era essenzialmente un apostolo e sapeva farsi tutto a tutti”. Egli sente che il Signore lo chiama a quel tipo di apostolato per il quale hanno ora un significato tanti anni passati nel silenzio e nello studio. “Il Signore – dirà il P.P. Pilastro o.p. – aveva preparato il suo strumento […] con soavità e forza”.

L’Ordine dei Frati Predicatori
Sapiente, Domenico volle sapienti i suoi frati. Egli manda i suoi primi compagni ad ascoltare le lezioni di Alessandro Stavensby e, quando “sparpaglia i suoi pochi frati” li invia come destinazioni principali a Parigi e a Bologna le cui università erano le più rinomate d’Europa : vi studieranno arti liberali, diritto e teologia. Due sono le grandi innovazioni di Domenico nella storia delle istituzioni religiose : la prima è l’aver concepito l’idea di un nuovo Ordine dedicato completamente alla predicazione e all’insegnamento, Ordine itinerante con facoltà di predicare in tutte le diocesi del mondo e sotto l’immediata giurisdizione della S. Sede ; per la prima volta nella storia della Chiesa la missione canonica senza la quale non può esservi autentico predicatore del Vangelo, non sarà più conferita dal Vescovo, ma in forza “di una incorporazione a una società esplicitamente approvata su questo punto dal Papa”. (Vicarie p.333)
Quest’idea non trovava riscontro fra gli Ordini fino ad allora conosciuti. Ricordiamo che tra il 1217 e il 1221 Onorio III inserirà nelle Bolle che andrà moltiplicando a favore dei Predicatori, formule sempre più esplicite. Noi la definiremmo oggi una specie di escalation da “… dilectis filiis …predicatoribus” che esprimeva il nome dei frati, ma non quello dell’Ordine (1217) a Frati dell’Ordine dei Predicatori (1218).
Domenico faceva così suo il progetto accarezzato già con Diego de Aceves : costituire un gruppo scelto di predicatori che avrebbero difeso il Vangelo mediante l’imitazione degli Apostoli e compiuto quella che è la missione essenziale dei successori degli Apostoli stessi : proclamare la sostanza del Vangelo, perché al centro di esso vi sia la l’annuncio del Dio misericordioso. La grande novità di questa missione era costituita dal fatto che essa veniva delegata in modo permanente a tutta una comunità, ai suoi membri futuri e per sempre. La precisa volontà di Domenico e dei suoi compagni era l’imitazione degli Apostoli e fulcro della regula apostolica era la povertà che il Santo considerava anche una liberazione spirituale : una povertà che implicava la mendicità.
La seconda innovazione è quella cui si è già accennato : l’importanza determinante attribuita allo studio come componente essenziale della vita spirituale.
L’impostazione data da Domenico alla vita religiosa è la proiezione della sua stessa esperienza personale.
Per essere efficace la predicazione deve fondarsi su basi solide : la necessità di studiare diventa per il Santo essenziale non tanto per se stesso che certamente disponeva già di un buon bagaglio intellettuale, quanto per i suoi fratelli. Anche al di là della polemica anticatara egli ritiene che l’arma preferita del predicatore è una ferma e profonda conoscenza delle Scritture.
Sottolinea il Roquebert : “Sarà la grande novità dell’opera di Domenico : unire all’esempio della vita apostolica una parola evangelica potentemente garantita dal sapere. Scienza e povertà. Povertà, ma scienza”.

Domenico e la nuova evangelizzazione
“L’evangelizzazione, annuncio del Regno, è comunicazione”. Così si sono pronunciati a Puebla nel 1979 i vescovi latino-americani. E con Giovanni Paolo II è cresciuta la coscienza dell’importanza della comunicazione. Ma già nella Miranda prorsus (1957) nel decreto conciliare Inter mirifica (1963) e soprattutto nella Communio et Progressio (1971) la Chiesa ha mostrato di aver fatto passi avanti destinati ad intendere la comunicazione come fenomeno socio-culturale e come industria culturale come mostra anche l’istruzione pastorale Aetatis novae (1992) Un impegno di grande portata per la Chiesa oggi consiste nel percepire le sfide che emergono dalla cultura attuale. Dalle riflessioni sul problema, emergono tre “modelli” di comportamento che vanno da un atteggiamento che taluni definiscono difensivo e apologetico che riconosca la necessità dei mezzi di comunicazione e la loro funzione sociale, conservando tuttavia il sospetto e la sfiducia nei confronti dei mezzi stessi e dei comunicatori, ad un altro atteggiamento giudicato strumentale, caratterizzato dal riconoscimento che gli strumenti della comunicazione sociale possono permettere alla Chiesa di collegarsi più efficacemente con il mondo, funzionando però come semplici amplificatori dei contenuti dei quali la Chiesa è depositaria ; prospettiva assolutamente utilitaristica dei media, che oppone resistenza ad accettare la autonomia che ha il fenomeno della comunicazione moderna la quale ha un proprio linguaggio una propria logica e un proprio dinamismo di tipo socio-politico e culturale.
L’atteggiamento più costruttivo sembra essere quello che riconosce nella comunicazione uno degli assi portanti della società odierna e vorrebbe una presenza della Chiesa senza preconcetti, tesa ad individuare la scelta della strategia corretta, a curare la capacità dei suoi professionisti, salva restando “ovviamente la confidenza che il Signore opera attraverso la sua Grazia in tutti gli spazi dove è l’uomo”.
Esistono poi problemi più concreti e immediati quali la scelta delle persone adatte, una certa difficoltà da parte di una pastorale della comunicazione che stenta a decollare, problematiche legate ad un uso ancora improprio delle risorse umane e finanziarie, anche perché la comunicazione non è per ora una priorità nella Chiesa. Il problema numero uno sembrerebbe essere quello della professionalità : “si esige un alto livello di competenza da parte di tutti coloro che si impegnano in questo campo, siano essi sacerdoti, religiosi e laici”. Si tratta di far si che la Chiesa utilizzi in maniera adeguata i cattolici più adatti per questo servizio della comunicazione, compresi quelli che lavorano nei media non confessionali.
Ma il problema di fondo sembra invece essere rappresentato da una realtà che viene indicata spesso come prospettiva ecclesiologica che rinvia ad una relazione Chiesa-mondo precedente il Concilio Vaticano II. Tale prospettiva può essere così riassunta : “la Chiesa è l’unica depositaria della verità e ad essa appartiene per capacità e per diritto, di determinare i valori morali che devono valere nella società”. Ora non vi è chi non veda che questa non è una prospettiva ecclesiologica passatista e retrograda, ma un punto nevralgico della Dottrina. Si afferma che non dobbiamo cedere di fronte alle esigenze del mercato e di fronte alla logica consumista nella quale si muove il sistema dei media, ma si conclude che la Chiesa deve proporre imprese che abbiano successo nel campo della comunicazione. Le proposte positive sono indubbiamente allettanti, ma le difficoltà sono grosse e reali.
E’ qui a nostro parere che si può cogliere un parallelo, ovviamente mutatis mutandis, e una giustificazione per la nostra proposta di “assumere” Domenico di Guzman come patrono della nuova evangelizzazione che in buona parte sembrerebbe destinata ad identificarsi con una comunicazione che utilizza le tecnologie più avanzate.
Anche Domenico ai suoi tempi si trovò di fronte a difficoltà apparentemente quasi insormontabili : prima di tutto quella che Roquebert chiama la più grave crisi della cristianità prima della Riforma, cioè l’eresia catara ; poi le resistenze della gerarchia, sempre meno capace di rispondere all’appello del Papa sollecitante un maggior impegno nella predicazione, ma risoluta ad opporsi ad innovazioni che sembravano minacciare il monopolio dell’evangelizzazione. Domenico è uomo del suo tempo e il suo tempo non conosce strumenti tecnologicamente progrediti, la sua epoca è un’epoca che vede l’uomo a mani quasi ancora nude. I mezzi di comunicazione per Domenico sono quelli indicati da S. Gregorio : verbo et exemplo. Possiamo affermare che ai suoi tempi Domenico è stato un “mago” della comunicazione, convinto anche lui con tanti secoli di vantaggio, che : “Non è Chiesa se non sa comunicare”. Riportiamo dal Vicarie quanto afferma un ascoltatore, un destinatario della comunicazione di allora : “Quando egli predica ha degli accenti così toccanti che molto spesso […] muove al pianto quanti ascoltano” e, sottolinea il Vicarie “Domenico ha una vera arte nel trovare le parole che confortano e consolano […] la sua dolcezza e la sua comprensione lo rendono amabile a tutti, ricchi e poveri, ebrei e infedeli”.Se non temessimo di apparire blasfeme diremmo : un vero anchorman. Naturalmente viene fatto di osservare che il S. Padre è amabile perché ama. Il suo obiettivo nel comunicare non è l’audience, ma la salus animarum per caritatem veritatis. Quella verità che altri vollero nello stemma del suo ordine, verità di cui la Chiesa giustamente continua a ritenersi depositaria.




SANTO DOMINGO DE GUZMAN
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¿POR QUE?


“Nos visitó aquel que viene de lo alto (Lc 1, 78) y resplandece a cuántos yacían en las tinieblas. Para esto también nosotros, debemos ahora caminar apretando las antorchas y correr llevando las luces. Así, mostraremos que la luz nos resplandece y representaremos el esplendor divino de quién somos los mensajeros” (De los Discursos de San Sofronio, obispo)

Las monjas dominicas en ocasión de su VIII centenario de fundación desean hacerse promotoras ante Su Santidad Benedicto XVI de la petición de proclamación de su Santo Padre Fundador como “Patrón de la nueva evangelización”.
La iniciativa, que parte del Monasterio de la Santíma Trinidad de Castelbolognese (Ravena), ha obtenido ya el consentimiento de un número considerable de monasterios en Italia y en el exterior, incluyendo los Estados Unidos.
Les hacemos dar cuenta que, en nuestra petición, debemos ser motivadas del reconocimiento y de la individualización de las cualidades propias de la personalidad de Domingo, para que las acciones de apoyo a esta solicitud no tengan que aparecer como fruto de una regurgitación sentimentalista y… partidario. Precisamente para este reconocimiento es el semblante de este escrito.


El problema de la predicación
Sabemos bien que en la maraña de la opción hecha por Domingo de la vida apostólica, está el problema de la predicación, misión fundamental del obispo desde los orígenes; en un momento dado, por una serie de razones históricas, la predicación se tuvo que confiar a predicadores auxiliares. Esta descentralización de las prerrogativas episcopales llevó a la formación de grandes personalidades de predicadores, no pocos de las cuales, sin embargo, siempre por razones históricas muy notorias, terminaron ejercitando la predicación fuera de todo control, con la conversión de los disidentes y de los autenticos heterodoxos. La Iglesia mientras que de un lado impulsaba a los obispos a ser más diligentes, por otro lado, siempre iba confiando mas en personalidades fuera de lo común, provenientes del clero secular o regular (Peter el ermitaño, Norberto de Xanten, fundador de los premonstratenses, Bernardo de Chiaravalle, por citar algunos). Todos estos predicadores trabajaban individualmente.
Ahora demos la palabra a M. Roquebert autor de una biografía de Santo Domingo publicada en 2003 y la edición italiana en 2005. “Quisiera simplemente narrar a Santo Domingo […] seguir de año en año el destino de un hombre de la inteligencia que destella y de la voluntad prodigiosa, a las luchas con la crisis espiritual más seria que la iglesia había conocido antes de la reforma. Un hombre a quien […] la Iglesia le debe la creación de un modelo que antes de él no existía, aquello del religioso que une el ideal de la vida evángelica, la elocuencia del predicador y la más alta ciencia filosófica y teológica”. Santo Tomás es seguro aquel que más que cualquier otro ha encarnado éste modelo, pero Domingo lo ha creado: el modelo aún “terriblemente” actual y válido.
De Santo Domingo M. H. Vicarie o.p. dirá que “era esencialmente un apóstol y sabía hacerse todo en todos”. El siente que el Señor lo llama a ese tipo de apostolado, ahora para él tienen un significado tantos años pasados en el silencio y en el estudio. “El Señor – dirá P. P. Pilastro o.p. - había preparado su instrumento […] con suavidad y fuerza”.


La Orden de los Frailes Predicadores
Sabio, Domingo quiere sabios a sus frailes. Envía a sus primeros compañeros para escuchar las lecciones de Alexander Stavesnby y, cuando “dispersó a sus pocos frailes” les envío como destinaciones principales a París y Bolonia, cuyas universidades eran las mas renombradas de Europa: estudiarán las artes liberales, derecho y la teología.
Dos son las grandes innovaciones de Domingo en la historia de las instituciones religiosas: la primera es haber concebido la idea de una nueva Orden dedicada totalmente a la predicación y a la enseñanza, Orden itinerante con la facultad de predicar en todas las diócesis del mundo y bajo la inmediata jurisdicción de la Santa Sede; por la primera vez en la historia de la Iglesia la misión canónica sin la cual no se puede ser auténtico predicador del evangelio, no será mas conferido por el obispo, sino en vigor “de una incorporación a una sociedad explícitamente aprobada al respecto por el Papa” (Vicarie, p. 333).
Esta idea no encontraba parangon entre las órdenes hasta entonces conocidas. Recordemos que entre 1217 y 1221 Honorio III insertará en las bulas que irá multiplicando en favor de los Predicadores, fórmulas cada vez más explícitas. Nosotras la definiremos hoy como una especie de escalada para “… dilectis filiis… predicatoribus” que expresaba el nombre de los frailes, pero no aquél de la Orden (1217) a los Frailes de la Orden de Predicadores (1218).
Domingo así hacía suyo el proyecto ya acariciado con Diego de Aceves: constituir un grupo selecto de predicadores que debería defender el evangelio por medio de la imitación de los apóstoles y cumplir aquella que es la misión esencial de los sucesores de los mismos apóstoles: proclamar la esencia del evangelio, porque al centro de ella esta el anuncio del Dios misericordioso. La gran novedad de esta misión fue constituida del hecho de que venía delegada de manera permanente a toda una comunidad, a sus miembros futuros y por siempre. La voluntad exacta de Domingo y de sus compañeros era la imitación de los Apóstoles y el punto de apoyo de la regla apostólica era la pobreza que el Santo consideraba también una liberación espiritual: una pobreza que implicaba la mendicidad.
La segunda innovación es aquélla que se ha precisado ya: la importancia determinante atribuida al estudio como componente esencial de la vida espiritual. La formulación dada por Domingo a la vida religiosa es la proyección de su misma experiencia personal. Para ser eficaz la predicación debe fundarse sobre bases sólidas: la necesidad de estudiar se convierte para el Santo esencial, no tanto por sí mismo, que ciertamente ya disponía de un buen bagaje intelectual, cuanto para sus hermanos.
También más allá de la controversia anticatara él piensa que el arma preferido del predicador es un firme y profundo conocimiento de las Escrituras. Acentúa Roquebert: “Será la gran novedad de la obra de Domingo: unir al ejemplo de la vida apostólica, una palabra evangélica fuertemente garantizada por el conocimiento. Ciencia y pobreza. Pobreza, mas ciencia”.


Domingo y la nueva evangelización
“La evangelización, anuncio del Reino, es comunicación”. Asi se pronuncian en Puebla (1979) los obispos latinoamericanos. Y con Juan Pablo II la conciencia de la importancia de la comunicación ha crecido. Pero, ya en la Miranda Prorsus (1957), en el decreto conciliar Inter Mirifica (1963) y sobretodo en Communio et Progressio (1971) la Iglesia ha mostrado haber dado pasos hacia adelante destinados a comprender la comunicación como fenómeno socio-cultural y como industria cultural, como también señala la instrucción pastoral Aetatis Novae (1992).
Un compromiso de grande alcance para la iglesia consiste hoy en percibir los desafíos que emergen de la cultura actual. De las reflexiones sobre el problema salen tres “modelos” de comportamiento, que van de una actitud que algunos definen defensiva y apologética, que reconozca la necesidad de los medios de comunicación y de su función social, conservando, sin embargo, la sospecha y la desconfianza en la confrontación de los mismos medios y de los comunicadores, a una otra actitud juzgada instrumental, caracterizado del reconocimiento de que los instrumentos de la comunicación social pueden permitir a la Iglesia conectarse más eficazmente con el mundo, pero, funcionando como simples amplificadores de los contenidos de las cuales la Iglesia es depositaria; perspectiva absolutamente utilitaristica de los medios, que opone resistencia a aceptar la autonomía que tiene el fenómeno de la comunicación moderna la cual tiene su propio lenguaje, una propia lógica y un propio dinamismo del tipo socio-político y cultural.
La actitud más constructiva parece ser aquello que reconoce en la comunicación a uno de los ases portadores de la sociedad actual y que desearía una presencia de la Iglesia sin preconceptos, tenso en caracterizar la elección de la estrategia correcta, en cuidar la capacidad de sus profesionales, excepto dejando “obviamente la confianza de que el Señor obra a través de su gracia en todos los espacios donde esta el hombre”.
Existen, después, problemas más concretos e inmediatos cuales como la elección de las personas adecuadas, una cierta dificultad de parte de una pastoral de la comunicación que logra con dificultad despegar, problemática ligado a un uso todavía incorrecto de los recursos humanos y financieros, también, porque la comunicación no es por ahora una prioridad en la Iglesia. El problema número uno parecería ser aquello de la profesionalidad: “se exige un alto nivel de competencia por parte de todos aquellos que se empeñan en este campo, sean ellos sacerdotes, religiosos y laicos”. Se trata de hacer que la Iglesia utilice de manera adecuada a los católicos mas idóneos para este servicio de la comunicación, abarcando a aquellos que trabajan en los medios no confesionales.
Pero, el problema de fondo parece en cambio ser representado por una realidad que viene indicado a menudo como la perspectiva de la eclesiología que envía de nuevo a una relación Iglesia-mundo anterior al Concilio Vaticano II. Tal perspectiva puede ser resumida así: “la iglesia es la única depositaria de la verdad y a ella pertenece por la capacidad y el derecho, de determinar los valores morales que deben valer en la sociedad”. Ahora, hay quién no ve que éste no es una perspectiva eclesiológica tradicionalista y retrógrada, pero, un punto neuralgico de la Doctrina. Se afirma que no debemos ceder frente a la exigencia del mercado y frente a la lógica consumista en la cual se mueve el sistema de los medios, pero, se concluye que la Iglesia debe proponer las empresas exitosas que tenemos en el campo de la comunicación. Las propuestas positivas son indudablemente atractivas, sin embargo, las dificultades son grandes y reales.
Es aquí en nuestra opinión que se puede tomar un paralelo, obviamente mutatis mutandis, y una justificación para nuestra propuesta de “asumir” a Domingo de Guzmán como Patrón de la nueva evangelización que en buena parte parecería destinada a identificarse con la comunicación que utiliza las tecnologías mas avanzadas.
También, Domingo en su tiempo se encontró frente a la dificultad aparentemente casi insuperable: el primero de todo, aquello que Roquebert llama la crisis más seria de la cristiandad antes de la reforma, o sea la herejía cátara; después, la resistencia de la jerarquía, cada vez menos capaz de responder a la llamada del Papa solicitando un mayor compromiso en la predicación, pero, resuelta a oponerse a las innovaciones que parecían amenazar el monopolio de la evangelización. Domingo es hombre de su tiempo y su tiempo no conoce los instrumentos tecnológicamente avanzados, su época es una época que ve al hombre con las manos casi todavía vacias. Los medios de comunicación para Domingo son aquellos indicados por San Gregorio: verbo et exemplo. Podemos afirmar que para su época Domingo ha sido un “mago” de la comunicación, convencido también él con muchos siglos de ventaja, que: “no es Iglesia si no sabe comunicar”. Citemos de Vicarie cuando afirma un oyente, un destinatario de la comunicación de aquel momento: “cuando él predica tiene los enfasis asi conmovedores que muchas veces […] mueve al llanto a cuantos escuchan ” y, acentúa Vicarie “ Domingo tiene un arte verdadero en encontrar las palabras que confortan y consuelan […] su dulzura y su comprensión lo hacen amable para todos, ricos y pobres, hebreos e infieles.
Si no temiéramos de aparecer blasfemos diríamos: un verdadero anchorman. Naturalmente viene del hecho de observar que el Santo Padre es amable porque ama. Y su objetivo en comunicar no es tanto la audiencia, sino la salus animarum per caritatem veritatis. Esa verdad que él quiere en el blason de su Orden, verdad de los cuales la Iglesia justamente continúa considerándose depositaria.

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